Come il cuore influenza il cervello nella percezione

 

 

LORENZO L. BORGIA

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XVII – 23 maggio 2020.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

 

Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce.

[Blaise Pascal, Pensieri: pensiero 277, 1670]

 

Un cuore lieto rende ilare il volto, ma, quando

il cuore è triste, lo spirito è depresso.

[Proverbi: 15,13]

 

 

L’idea antica, e diremmo arcaica in medicina, che collocava alcune facoltà psichiche nel cuore, non è paragonabile ad altri errori della tradizione ippocratica e galenica, perché fin dai tempi più remoti e in diverse civiltà si è inteso il riferimento all’organo vitale per eccellenza quale convenuto simbolico in grado di veicolare significati di intesa immediata, sia perché intuitivi sia perché trasmessi dal sapere religioso, ossia la grande cultura di massa dell’antichità. E anche perché questo uso simbolico è ancora attuale nel villaggio globale e difficilmente sarà abbandonato in futuro[1]. Nella Bibbia, la raccolta di scritti che ha influenzato il maggior numero di popoli al mondo per il maggior numero di secoli, la parola “cuore” è scritta quasi mille volte, e solo nel 20% dei casi è materialmente riferita all’organo, indicando nel rimanente 80% facoltà psichiche o qualità morali.

È interessante notare che il più antico valore simbolico di “cuore” riportato nella Torah e nella Bibbia cristiana attiene all’ambito semantico del comprendere, conoscere e sapere, come si legge nel Deuteronomio: “Il Signore non vi ha dato un cuore per comprendere… Occhi per vedere… Orecchi per udire?” (Dt. 9, 3), e nei Salmi: “Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore” (Sal. 90, 12). Da questa radice di senso viene l’accezione di pensiero e disposizione della mente che si trova nei Vangeli: “Alcuni scribi pensarono in cuor loro… Gesù disse loro: perché pensate così nei vostri cuori?” (Mc. 2,6); “Sciocchi e tardi di cuore nel credere alle parole dei profeti” (Lc. 24, 25)[2].

Il secondo valore simbolico che si riconosce nella Sacra Scrittura è quello di memoria: “Sappi dunque e conserva nel cuore che il Signore è Dio… e non ve n’è un altro” (Dt. 4, 39); è un conservare che equivale a rimanere fedele, come nell’altra frase pronunciata da JHWH, secondo quanto riferito da Mosé: “Questi precetti che oggi ti do ti siano fissi nel cuore” (Dt. 6,6). A questa accezione di conoscenza appresa, con l’aggiunta di pensiero che riflette sulla memoria, fa riferimento il colto medico siriano Luca, che aveva potuto colloquiare con Maria, la madre di Gesù, prima della stesura del terzo Vangelo: “Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore” (Lc. 2, 19).

Questo valore di senso biblico ha lasciato traccia in un gran numero di lingue: basti pensare all’italiano ricordare attraverso il latino cor cordis o all’inglese learning by heart per dire imparare a memoria.

La terza accezione del termine cuore che si può riconoscere nella Bibbia è quella di sentimento: dall’amore all’amarezza, dalla gioia alla gratitudine, dalla fiducia al desiderio. Le citazioni potrebbero essere letteralmente centinaia, e in alcuni casi sarebbe difficile distinguerle, quali esempi, da quelle che si potrebbero riportare per il quarto simbolismo di cuore, da alcuni studiosi ritenuto il più importante di tutti: l’indicazione della persona nel suo insieme o nella sua essenza. In altri termini, metonimia del soggetto o valore spirituale della sua anima: “un cuore buono” voleva dire un giusto, un santo; un “cuore cattivo” significava un empio, uno scellerato. In molti autori delle epoche successive, il nome dell’organo vitale intercettava parte dell’area semantica del termine greco psyché.

Per secoli, in Europa, la parola “cuore” è stata impiegata per designare i sentimenti più autentici e profondi della persona, in contrapposizione con le idee, i pensieri e i ragionamenti dettati da obblighi, calcoli, vantaggi materiali, doveri istituzionali o vincoli formali.

Un giovane, fin da bambino vero prodigio della matematica, che a soli sedici anni scrisse un trattato di geometria, a ventuno costruì la prima calcolatrice meccanica e a trenta studiò con Fermat la teoria della probabilità, scrisse tra i suoi pensieri pubblicati postumi: “Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce”[3]. Il giovane era Blaise Pascal, che non intendeva affatto con “ragioni del cuore” le irruenze o le razionalizzazioni delle piccole follie degli innamorati, ma un differente modo di sviluppare il pensiero quando l’esigenza da cui nasce è affettiva e, dunque, non segue prioritariamente i criteri di utilità ed efficienza con i quali si impiega il ragionamento nella scienza[4].

Le ragioni del cuore divennero a tutti evidenti nel 1654, quando Blaise Pascal accantonò matematica e fisica per dedicarsi alla meditazione spirituale e alla riflessione filosofica[5].

La classica contrapposizione romantica ottocentesca tra ragione e cuore, quest’ultimo inteso come passione o sentimento, aveva origini più lontane del XVII secolo, e Jacques Le Goff ne documenta una tradizione letteraria risalente alla seconda metà del 1200. Una nozione interessante che ci induce a supporre una tendenza antropologica verso questa dicotomia, alla cui origine potrebbe esservi una bias psicologica: il bisogno di rappresentare come istanze di uguale dignità quelle provenienti dalle regole sociali, che trovano nella ragione il terreno mentale di recezione, e quelle provenienti dai desideri individuali, che si esprimono come passione o sentimento.

Molti aspetti della nostra vita affettiva, nell’attualità dell’esperienza, si accompagnano ad emozioni che, nella maggior parte dei casi, sono espresse da stati neuroendocrini di attivazione ortosimpatica caratterizzata dall’aumento della frequenza cardiaca e spesso anche da una maggiore forza di contrazione del cuore. Tale eccitazione funzionale, quando va oltre il range fisiologico ordinario, supera la soglia della coscienza rendendoci consapevoli del batticuore, ossia dell’accentuazione di una funzione automatica per definizione non rilevata dall’endopercezione. Probabilmente è stata proprio questa soggettiva esperienza del cuore che batte nel petto a indurre fin dall’antichità l’attribuzione al cuore dei caratteri psichici associati alle reazioni emotive.

In epoca contemporanea, oltre a questi effetti top-down, sono stati studiati i rapporti fra patologia cardiaca e funzioni cerebrali, limitandosi però nella massima parte dei casi alla fisiopatologia dell’encefalo derivante dal deficit di flusso ematico e ossigeno a neuroni e glia.

Durante gli anni Ottanta e Novanta, la medicina psicosomatica e le altre forme di body-mind perspective nello studio dei rapporti fra periferia dell’organismo ed elaborazione centrale, hanno attratto l’attenzione dei ricercatori sulla possibilità che attività cerebrali alla base dello psichismo fossero influenzate bottom-up da processi corporei, considerati sotto il controllo dell’autonomo.

Negli ultimi decenni si sono avute prove sperimentali di una nozione già consolidata su base clinica in psichiatria: sebbene in genere siamo del tutto inconsapevoli di processi che attengono alla termoregolazione, alla respirazione, alla digestione e alla funzione cardiovascolare, ne possiamo essere influenzati al livello psichico.

Esra Al e colleghi, seguendo un filone di studi poco noto, hanno accertato due modi in cui il battito cardiaco influenza la percezione cosciente.

(Al E., et al., Heart-brain interactions shape somatosensory perception and evoked potentials. Proceedings of the National Academy of Sciences 117 (19): 10575-10584, 2020)

 La provenienza degli autori è la seguente: Department of Neurology, Max Planck Institute for Human Cognitive and Brain Sciences, Leipzig (Germania); MindBrainBody Institute, Berlin School of Mind and Brain, Humboldt University in Berlin (Germania); International Max Planck Research School in the Life Course, Max Planck Institute for Human Development, Berlin (Germania); Neurocomputational and Neuroimaging Unit, Department of Education and Psychology, Freie Universitat, Berlin (Germania); Faculty of Psychology, University of Warsaw, Warsaw (Polonia); Institute of Cognitive Neuroscience, National Research University, Moscow (Russia).

Le interessanti evidenze elettrofisiologiche ottenute da Esra Al e colleghi possono essere sintetizzate in due punti.

1)      Un’accresciuta attività neurale evocata dal battito cardiaco prima della stimolazione è seguita da una ridotta rilevazione somatosensoriale. L’effetto può essere spiegato dall’adozione da parte del cervello di un criterio decisionale più conservativo, che è accompagnato da cambiamenti nelle risposte evocate somatosensoriali precoci e tardive.

2)      La temporizzazione dello stimolo durante il ciclo cardiaco interessa la sensibilità ma non il criterio per lo stimolo somatosensoriale, che è riflesso soltanto nelle risposte evocate somatosensoriali tardive.

Diciamo subito che gli autori dello studio sostengono che queste modulazioni associate al battito cardiaco siano connesse alle fluttuazioni dell’attenzione interocettiva e ai meccanismi di codifica predittiva inconscia.

Il disegno sperimentale ha preso le mosse dall’osservazione che vari effetti associati al battito cardiaco possono influenzare la rilevazione consapevole di stimoli, attingendo anche agli studi sui fenomeni della percezione cosciente condotti da Dehaene e Changeux. Sono stati inizialmente selezionati 40 volontari dalla banca dati del Max Planck Institute for Human Cognitive and Brain Sciences (Leipzig), ma poi il campione, a seguito dell’esclusione per motivi tecnici di tre soggetti, è stato ridotto a 37 partecipanti: 20 donne e 17 uomini di età compresa tra i 19 e i 36 anni. Sono stati eseguiti 274 blocchi sperimentali, con 32.880 prove analizzate.

Esra Al e colleghi hanno osservato che la natura degli effetti delle contrazioni del cuore documentati da altri ricercatori non era ben chiarita. In particolare, non si comprendeva se fossero fenomeni distinti o fra loro correlati, e se fossero conseguenze sensoriali precoci o processi decisionali tardivi. Combinando elettroencefalografia ed elettrocardiografia, insieme con analisi basate sulla teoria della rilevazione del segnale (SDT o signal detection theory), i ricercatori hanno identificato due influenze distinte, correlate al battito cardiaco, sulla percezione cosciente, rapportate in modo differente all’elaborazione somatosensoriale precoce o tardiva.

Prima influenza: un effetto sull’elaborazione sensoriale precoce è stato trovato per il potenziale evocato dal battito cardiaco (HEP), un marker dell’interocezione cardiaca. L’ampiezza del prestimolo HEP correlava negativamente con localizzazione e rilevazione di stimoli somatosensoriali, riflettendo una più conservativa tendenza di rilevazione (criterio). Aspetto rilevante: le ampiezze più elevate di HEP erano seguite da decrementi nella P50, ossia precoci, e da decrementi nei potenziali più tardivi N140 e P300 (c.d. potenziale cognitivo) ad evocazione somatosensoriale (SEP).

Seconda Influenza: la percezione era interessata anche dalla temporizzazione dello stimolo in rapporto al ciclo cardiaco. Durante la sistole, gli stimoli erano rilevati e correttamente localizzati meno frequentemente, per effetto di uno shift nella sensibilità percettiva. Tale attenuazione percettiva era accompagnata dalla soppressione delle sole componenti SEP tardive, ossia la P300, ed era più forte negli individui con una frequenza cardiaca più stabile.

Entrambi gli effetti dovuti al cuore erano indipendenti dall’influenza delle oscillazioni alfa sull’elaborazione somatosensoriale.

Gli autori dello studio spiegano gli effetti associati alla fase del ciclo cardiaco in termini di codificazione predittiva e suggeriscono che gli effetti HEP-associati possano riflettere spontanei passaggi tra interocezione ed esterocezione, o modulazioni delle risorse attenzionali generali.

Concludendo, tutto quanto emerso da queste articolate osservazioni sperimentali, per la cui descrizione tecnica si rinvia alla dettagliata esposizione del testo originale, forniscono un quadro interpretativo per spiegare il modo in cui segnali interni possano essere integrati nell’esperienza cosciente.

 

L’autore della nota ringrazia il prof. Giuseppe Perrella, presidente della Società Nazionale di Neuroscienze, per il contributo al testo e invita alla lettura delle recensioni di studi di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Lorenzo L. Borgia

BM&L-23 maggio 2020

www.brainmindlife.org

 

 

 

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La Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International Society of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica e culturale non-profit.

 

 

 

 

 

 



[1] Non sarebbe facile rinunciare ad espressioni quali: “è una scelta di cuore”, “gettare il cuore oltre l’ostacolo”, “ha un cuore puro”, “con tutto il cuore”, “non hai cuore”, “ha il cuore infranto”, “grazie di cuore”, “amica del cuore”, “cuore solitario”, ecc.; e che dire del disegno del cuore o di cuoricini per dire “amo” e “amore”?

[2] È stato consultato lo scritto “Il cuore nella Sacra Scrittura” (che in parte attinge all’enciclica di Pio XII Haurietis aquas) pubblicato, senza menzione dell’autore, dall’Adp (ass. nata a Vals, presso Le Puy in Francia, nel 1844) dell’Arcidiocesi di Siena Colle Val d’Elsa e Montalcino (www.adpsiena.it).

[3] Opera pubblicata postuma, come riportato in esergo: Blaise Pascal, Pensieri: pensiero 277, 1670 (trad. ital. a cura di B. Allason UTET, Torino 1936 sull’anastatica dell’originale seconda edizione: Pensées de M. Pascal sur la Religion et sur Quelques Autres Sujets, A Paris, Chez Guillaume Desprez, MDCLXX.

[4] Si vuole che Pascal abbia affiancato al razionalismo cartesiano una fenomenologia cristiana rispettosa dell’individualità del soggetto.

[5] Blaise Pascal (1623-1662), orfano di madre fu allevato dal padre matematico (Etienne Pascal) che lo istruì fin dalla più tenera infanzia sulla scienza matematica e sui principi della fisica, facendone un bambino prodigio. Ebbe rapporti epistolari, e in alcuni casi di collaborazione, con Galileo Galilei, René Descartes, Evangelista Torricelli, Pierre de Fermat e Girard Desargues.